15,4 milioni di lavoratori in Italia guadagnano meno di 800 euro al mese al netto, il 40% degli occupati totali. Federcontribuenti: “basterebbe invertire la rotta per combattere la povertà, il lavoro in nero e così anche l’elusione fiscale. Riconoscere non più il RDC ma un reddito universale a tutti questi lavoratori costretti alla povertà e a zero welfare”. Troppe famiglie vivono con meno di mille euro nette al mese rallentando il PIL e creando grave disuguaglianza. “Per comprare o affittare casa, per comprare una macchina o fare un finanziamento chiedono redditi certi, la discontinuità reddituale crea pozze di illegalità e fa fiorire l’evasione fiscale totale”
In sintesi, il Reddito Universale potrebbe diventare la chiave di volta per combattere e distruggere tutte quelle gravi incongruenze che da decenni affliggono l’Italia: “riconoscere fino a 500 euro al mese a chi ha un contratto di lavoro per un reddito inferiore a mille euro nette al mese. In questo modo nessuno più chiederà di lavorare in nero e faremo un enorme passo in avanti per alzare la soglia di reddito oggi gravemente insufficiente. “I lavoratori con contratti a tempo determinato, contratti a causa mista sono più frequenti tra gli operai, impiegati generici, camerieri, commessi e cassieri. I collaboratori a progetto o coordinati e continuativi sono, invece, occupati prevalentemente nel settore pubblico e in quello dei servizi privati e svolgono frequentemente professioni qualificate, professioni tecniche, intellettuali, scientifiche e creative. Un’ampia classe di lavoratori poveri”. Le riforme non hanno modificato, se non marginalmente, le condizioni degli occupati stabili, ma hanno ridotto la protezione per i nuovi assunti, aumentando il numero dei contratti a tempo determinato e introducendo nuove forme di contratti atipici, più flessibili. Una parte importante dei lavoratori, perlopiù giovani, è stata intrappolata all’interno del fenomeno della precarietà persistente, permanente e in crescita, poiché le dinamiche del mercato del lavoro implicano, naturalmente, un flusso in uscita dalla forza lavoro di lavoratori con contratti a tempo indeterminato ed un flusso in entrata di lavoratori con contratti atipici, a scadenza, con un tasso di conversione di questi ultimi molto basso. La sola esistenza di forme contrattuali atipiche, anche se poco utilizzate, produce una forte concorrenza sulle condizioni di lavoro, che può ridurre il potere contrattuale dei lavoratori con contratti a tempo indeterminato.
In conclusione: “uno stipendio, una pensione di vecchiaia o di invalidità non possono essere inferiore alla soglia considerata di povertà se vogliamo discutere di sviluppo e ripresa.”