Negli ultimi mesi non si contano le denunce di liberi cittadini ed associazioni contro lo Stato e con esso i suoi reggenti per ogni tipo di pratica scorretta ed incostituzionale. Riportiamo i passaggi più importanti della denuncia di Loris, un imprenditore che ha deciso di non impiccarsi. “Solo la ragione, fino ad oggi, ha contenuto la disperazione di vedermi incapace a reperire quel lavoro che mi consenta un reddito sufficiente a rendermi una vita dignitosa e a essere presente e puntuale nell’onorare i miei impegni sociali; oppresso da una burocrazia arrogante, ossessiva, ignorante, inconclusiva e una ingiusta ed insostenibile tassazione, il tutto fuori dai dettami della nostra Costituzione”. A scriverlo Loris Ravezzolo, padovano di 60 anni che, in una lettera inviata ai carabinieri di Ponte San Nicolò, denuncia tutte le “istituzioni politiche, pubbliche e private aventi funzioni pubbliche, locali, nazionali” ma anche i “dirigenti e funzionari con poteri strategico decisionali per comportamenti vessatori, incostituzionali e istigazione al suicidio.
Nella denuncia lo sfogo di Loris nei confronti di un sistema che lo rende “vittima di una burocrazia ceca, mal gestita, nelle mani di persone che non rispondono mai alle precise e dettagliate domande, che non vogliono assumersi responsabilità e che vivono nel loro dorato benessere, vessando e strozzinando impotenti, inermi e stremati cittadini, incapaci di trovare risorse per reagire ad un sistema di sprechi, ruberie varie, ben visibili a tutti”. Nella quale si chiede il “ridimensionamento dell’arroganza di chi dovrebbe dare risposte” così come di “ripristinare il sacro principio di sovranità dell’uomo cittadino”. Una lettera con cui Loris chiede la riconsegna del proprio lavoro “inteso non come normale occupazione ma come giusto reddito, nel doveroso rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla sacra Costituzione”. Con la speranza che “questa sua disperazione, che a troppi piccoli imprenditori ha già spento il sorriso, non prenda il sopravvento sulla già stremata ragione”.
“Si tratta di una lettera che ha poco di istituzionale, ma molto di umano. Leggendola si percepisce la frustrazione quotidiana di questi lavoratori, incapaci di sopravvivere nella quotidianità, chiamati a proteggersi da quello Stato che dovrebbe essere schierato in prima linea per difenderli – dice Marco Paccagnella, presidente di Federcontribuenti – Ravazzolo è un nostro iscritto, che ha deciso in via del tutto autonoma di mettere nero su bianco quanto costa vivere e lavorare oggi. Non chiede allo Stato un reddito di cittadinanza o un sussidio. Lui chiede quello che tutti gli imprenditori, i disoccupati, i giovani e gli operai in cassa integrazione oggi vedono come un miracolo: un lavoro giustamente retribuito. La possibilità di lavorare, la possibilità di poter condurre una vita dignitosa insieme alla sua famiglia. Come può lo Stato essere così cieco nei confronti di questa situazione che oggi rappresenta, più di tutto, un problema sociale italiano? Abbiamo chiesto più volte ai politici di fare un passo indietro, guardare con attenzione cos’è la vita di un cittadino che non risiede nei sontuosi palazzi di Roma, senza alcuna risposta. Torniamo a farlo oggi, per cercare di dare delle risposte a persone come Loris Ravazzolo, stremato da una vita che dopo 40 anni di lavoro, si aspettava fosse più riconoscente nei suoi confronti. Abbiamo la fortuna di avere una Costituzione giusta ed equa, che parla infatti all’articolo 53 di ‘capacità contributiva’ del cittadino. È la norma fondante del nostro ordinamento tributario, ma non della ‘razio’ dei nostri politici. L’invito – conclude Paccagnella – è quello di ripartire dalla nostra Costituzione, dai nostri valori sociali e umani. Impossibile non trovare una soluzione”.