
“IL PARLAMENTO FACCIA UNA LEGGE CHE TUTELI LE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI CONSUMATORI CADUTI, IN QUESTI ANNI, NEL TRANELLO DELLE FALSE MULTIPROPRIETA’”.
Per capire perché ancora oggi, nell’Italia del 2011, oltre mezzo milione di consumatori al sentire la parola “multiproprietà” – le virgolette sono d’obbligo visto che nella stragrande maggioranza dei casi, a tale parola non corrisponde il suo significato giuridico – comincino a inveire e a parlare di truffe e raggiri e perché è assolutamente necessario che il Parlamento italiano (recependo quanto emanato dall’ultima direttiva europea in materia) faccia una legge che li difenda e li metta al riparo dalle trappole di questo particolare mercato, è necessario partire da lontano.
A un tempo in cui, in effetti, il termine “multiproprietà” individuava davvero la sua fattispece, vale a dire a quando a esso corrispondeva veramente un diritto reale. Ricordiamo che per “Multiproprietà” – in termini giuridici – si intende quella pratica commerciale in cui più soggetti sono pieni proprietari di uno stesso immobile, goduto da ciascuno, a turno, per una frazione limitata dell’anno. La legge (artt. 69 e seguenti D. Lgs. 6 settembre 2005, n.206 o Codice del Consumo) disciplina solo il contratto con cui il consumatore acquista il diritto oggetto di multiproprietà. Da notare che il termine multiproprietà è utilizzabile solo quando il diritto oggetto del contratto sia un diritto reale, secondo l’art. 72, 1° comma, Codice del Consumo.
Multiproprietà: le origini e l’inizio dei guai
Ma partiamo dall’inizio. In Italia, il mercato delle multiproprietà prende piede negl’anni ‘70 fino agl’inizi degl’80. Contratti veri, con l’assegnazione di millesimi veri, in abitazioni vere e realmente in Sardegna, a Cortina, a Madonna di Campiglio e posti così. Avevano un però, altrettanto vero: costavano tantissimo. Insomma: chi allora acquistava una multiproprietà normalmente era chi aveva una buona disponibilità economica: avvocati, medici, dirigenti e via di questo passo.
Il mercato delle multiproprietà, in realtà il suo vero boom lo ha nel decennio successivo. E la cosa avviene quando al termine “multiproprietà”, non segue più il suo significato giuridico, ossia quando tra gli operatori che cominciano a muoversi in questo mercato si diffonde la prassi, intenzionalmente negligente, di chiamare “multiproprietà”, un qualcosa che invece non lo era più. E’ un guaio perché le parole sono importanti e quando smettono di identificare realmente una cosa, soprattutto quando si parla di termini giuridici, si crea uno spazio in cui, complice l’ambiguità, la confusione e ahimè l’ignoranza, subentra anche la furbizia di chi approfitta di tutto questo e l’ingenuità di centinaia di migliaia di consumatori raggirati per migliaia di euro. Ma che cosa è successo? E come è potuto accadere? E soprattutto perché in Italia continua ad accadere?
In principio, fu le Canarie…
In principio, fu la Spagna, in particolare le Canarie. In pieni anni 80, Tenerife pullulava dei cosiddetti ” cani da tartufo”, ossia di coloro che hanno il compito di agganciare i potenziali clienti e portarli ai centri di vendita allestiti per l’occasione, per lo più ignari vacanzieri reclutati approfittando della particolare condizione psicologica in cui si trova chi è in vacanza – che normalmente è più “ricettiva” e con meno “difese” – per prospettare loro la possibilità di ritornare in quel posto da sogno una settimana all’anno, per il resto della vita, a prezzi imbattibili. Questione di tempo e anche in Italia arrivano i “prodotti” spagnoli. Da noi si cominciano ad organizzare negli hotel quelle che vengono chiamate le “vendite in cantiere”, ossia si inizia a vendere – chiamandole “multiproprietà” – settimane in resort alle Canarie, o comunque in posti da “bollino rosso”, cioè sempre in alta-stagione con in più la novità, di entrare a far parte di un circuito di scambio, ossia di acquisire la possibilità di scambiare la propria multiproprietà con un’altra, in qualche località italiana in Sardegna, Cortina ecc., ossia effettuare quella che viene chiamata “permuta”. In pratica; all’uomo medio viene data la possibilità di fare, quel che fino ad allora, potevano fare solo i ricconi. E ci casca.
La natura della truffa e il ritardo italiano
E’ così che un sacco di gente è stata raggirata. Perché quel che ha acquistato non è un titolo che assegna una multiproprietà, ma è invece tutta un’altra cosa, cioè è un titolo che rappresenta quel che in Spagna chiamano “Tiempo Compartido”, ossia “tempo condiviso”. E con tale titolo non si acquista un diritto reale, come un diritto di proprietà, bensì un diritto d’uso, ossia un affitto, che per la legge spagnola ha una durata massima di 50 anni. E un contratto d’affitto si compra? Evidentemente no, però è quel che ha fatto un sacco di gente cacciando denaro per pagare spese di registrazione a notai inesistenti, pagando per anni quote mensili convinti di acquistare una multiproprietà quando invece ne pagavano la locazione. Senza considerare che poi in quei posti non ci sono mai andati o se ci sono andati erano completamente diversi da come invece erano stati presentati. E figurarsi se li hanno “permutati”. Un equivoco che, dalla fine degl’anni 80 e per tutti i 90, ha coinvolto milioni di cittadini europei, tanto che ad un certo punto nel ‘94 la Comunità Europea emana una direttiva che richiama al problema invitando tutti gli stati membri a fare una legge che regolamenti e difenda i consumatori. Così, ogni stato membro fa la sua. La legge spagnola che regolamenta questa materia è la Ley 42/1998 del 15 dicembre del 1998 con modifiche nel 2002 ed inizia così: “Con il termine improprio di multiproprietà si vanno a denominare tutte quelle formule per le quali si trasmette il diritto ad usufruire di un alloggio durante un determinato periodo dell’anno…”. Insomma la Spagna, affronta la questione direttamente partendo col considerare l’equivoco iniziale, cioè l’uso improprio del termine multiproprietà. Da noi in Italia succede il contrario, perché la 427 del ’98 nasce già vecchia, ossia con il limite di considerare solo le multiproprietà reali, non quei prodotti che nel frattempo avevano invaso il mercato. Tuttora, l’attuale Codice del Consumo non tratta i contratti a “tiempo compartido” spagnoli e neanche quelli successivi. Già perché nel frattempo la macchina del raggiro “semantico-giuridico” ha continuato ad operare e a mietere vittime.
Gli ulteriori giri di chiave del raggiro semantico-giuridico e la necessità di una legge
Ed è così, più o meno nel ‘98, che nel mercato sono comparsi i titoli inglesi, i famosi “time-share” che letteralmente significa “tempo condiviso”, ossia il precedente “tiempo compartido” spagnolo, ma che in realtà sono un’altra cosa ancora. Questi invece, sono dei semplici certificati di associazione, dei “member’s certificate” per la stragrande maggioranza, a società che hanno la sede in qualche paradiso fiscale, Isola di Mann o Principato di Andorra ad esempio, e che gli danno il diritto di fare una settimana di vacanza in qualche posto da sogno. E’ come diventare soci di qualche club che ti da diritto a particolari agevolazioni o sconti. I “time-share” in pratica sono come le tessere dei supermercati. E’ chiaro che invece sono stati venduti se non addirittura come “multiproprietà” come titoli che davano un diritto d’uso. E anche lì: centinaia di migliaia di truffati. Ma non finisce qui. “Da qualche tempo è arrivata la pratica dei punti – dice Marco Paccagnella, presidente di Federcontribuenti Veneto, l’associazione a difesa dei consumatori che segue in sede processuale miglia di consumatori caduti in qualche tranello in questo particolare mercato – che è un’altra diavoleria, inventata a seguito, mi si scusi il francesismo, dello “sputtanamento” del termine “multiproprietà”, al suono del quale ormai la gente scappava. Allora si sono inventati questo ennesimo specchietto per le allodole. Ti dicono che è un sistema nuovo in cui ti vendono questi punti che puoi scambiare non solo con una settimana di vacanza, ma anche con voli, vitto ecc. che in realtà è una cosa che non avviene mai. Ai punti corrispondono in realtà solo settimane di pernottamento nei soliti resort a prezzi fuori da ogni logica e con pratiche per niente trasparenti”. Vista la situazione, la Comunità europea nel 2009 ha emanato un’altra direttiva, la 2008/122/CE del 14 gennaio 2009 in cui invita gli stati membri a fare un’altra legge che tuteli i consumatori da tutti quei titoli che nel frattempo sono comparsi. Ricordando che solo in Italia i possessori di titoli che danno un diritto d’uso, un certificato di associazione o dei punti da convertire in pernottamenti si aggirano oltre le 500 mila persone e che le permute realmente effettuate ogni anno sono circa il 10% del totale, eventualità invece immancabilmente promessa all’atto della stipula dei contratti, “Federcontribuenti – conclude Marco Paccagnella – chiede con forza che il Parlamento italiano, recependo quanto disposto dall’Unione Europea, si attivi al fine di fare una legge che tuteli i consumatori che continuano a venire raggirati da questo particolare mercato. Per una volta dia prova di impegnarsi realmente per i propri cittadini: si tratta di migliaia di persone. Vanno difesi e tutelati. Come associazione siamo disponibili a qualsiasi consulenza gratuita con le istituzioni e a condividere la nostra notevole esperienza sul settore, al fine di contribuire affinché si trovi una soluzione legislativa all’incredibile situazione in cui si trovano centinaia di migliaia di cittadini italiani, nel totale silenzio delle Istituzioni e dei mass media”.