Questa sera a La Gabbia un servizio di Alessio Lasta sul caso del signor Daniele Giorgino, assistito da Federcontribuenti. Se ne segnala eccezionalmente l’importanza in risposta a dicerie piovute da alcuni dirigenti dell’Agenzia delle Entrate che poco sopportano l’ingerenza di Federcontribuenti nel loro modus operandi.
Non è colpa di Federcontribuenti se l’Agenzia delle Entrare dimostra scarsa disponibilità e arroganza nel trattare singoli casi, se crea disperazione e ingiustizia sociale, se non è capace di fare a meno dei sui mega cervelloni elettronici ed intervenire con correttezza e umanità contro calcoli o segnalazioni errate e sia chiaro, Federcontribuenti, checché sussurrino i dirigenti innervositi, non è finanziata da nessun commando eversivo, non riceve percentuali sui casi trattati, tanto meno, dallo Stato. Daniele Giorgino si è recato presso l’Agenzia delle Entrate, ha tentato di rientrare in possesso di alcuni documenti fiscali che ha perduto durante le alluvioni che lo hanno colpito; che male c’era da parte dei funzionari nello stampare nuovamente questi documenti? Secondo l’Ente, Daniele Giorgino è reo per non aver denunciato la perdita dei documenti. Seppur le regole impongono un protocollo comportamentale, resta il fatto che un uomo, un cittadino, non può venir crocifisso per essersi dimenticato, probabilmente non lo sapeva affatto, che i documenti fiscali quando persi vanno denunciati. La Legge parla chiaro, ma anche il buon senso ha le sue leggi.
«Chiedo che mi venga restituito il diritto di lavorare». Daniele Giorgino, poco più che 50enne, residente a Pordenone dove aveva avviato – anni fa – un’azienda nel settore dei trasporti. Circa 10 anni fa la Guardia di Finanza si presentava a casa sua per fare alcune domande in merito ad un’azienda di Pordenone che opera nel settore degli spurghi e pozzi neri, la GD Service. Chiedono informazioni circa alcune fatture di importi elevati, tra i 100 e i 200mila euro. Spiega loro di non conoscere questa GD Service, i finanzieri delucidano Giorgino sull’azienda di Bari che ha contabilizzato le fatture: “Si trattava della figlia di un imprenditore cui, dieci anni prima, avevo venduto un furgone usato della mia flotta. La compravendita era stata regolare e, dopo allora, non avevo avuto più nessun contatto né con l’uomo né con i suoi dipendenti”. Le fiamme gialle mostrano a Giorgino un mandato di perquisizione: “Non mi sono opposto perché non avevo nulla da nascondere – racconta l’uomo – e infatti i finanzieri non hanno reperito nessun documento che mi collegasse a quelle fatture”.
Dopo due mesi si concludono le indagini e Giorgino viene chiamato in caserma per firmare i verbali
di accertamento. Il fascicolo sarebbe stato trasmesso alla Procura della Repubblica, come da prassi. Fascicolo che giunge, inspiegabilmente negli uffici dell’Agenzia delle Entrate: “In pochi giorni mi è arrivata una cartella esattoriale di Equitalia che mi intimava al pagamento di poco meno di 3 milioni di euro. Si trattava della somma non corrisposta allo Stato tra Iva, dichiarazioni dei redditi e sanzioni, relative alle fatture di questa GD Service”. Inizia l’incubo: viene emesso un decreto ingiuntivo pari a 3.147.000 euro. Perde ogni cosa, anche il lavoro. Il processo dura circa sei anni. La sentenza di primo grado lo giudica innocente sui primi tre capi d’accusa perché ‘il fatto non sussiste’. Nello stesso tempo lo condannano a sei mesi di reclusione perché reo della distruzione dei documenti comprovanti il reato da cui è stato assolto. Rimasto senza nulla torna a vivere con i due genitori, i quali, arrivano sotto i mille euro al mese in due. Trova lavoro come apprendista falegname, ma, dopo neanche 30 giorni l’invito dei Carabinieri a presentarsi in caserma: “Mi comunicano che devo scontare i sei mesi di reclusione. Ho pensato mi venisse un infarto”. Dopo una settimana un’altra comunicazione, questa volta dalla Questura di Pordenone: “I reati fiscali non si scontano in carcere ma ai domiciliari. L’uomo chiede l’affidamento ai servizi sociali: istanza respinta perchè non aveva riconosciuto la colpevolezza per un reato non commesso. L’uomo nel frattempo continua a lavorare e lo stipendio veniva accreditato su un conto “straordinario” concesso presso la Banca BCC di Pordenone ma, “è’ giunto alla banca un procedimento esecutivo di pignoramento presso terzi da parte di Equitalia – spiega all’uomo il vice direttore – questo prevede il pignoramento di qualunque cifra fosse in conto sino alla cifra di 2.750.000 euro”. Troppi problemi, perde anche questo lavoro. “Io cercavo una soluzione, ma non riuscivo a pensare ad altro che alle cartelle esattoriali che arrivavano con scadenza quasi giornaliera nella mia cassetta della posta. Si parlava di milioni di euro: impossibile trovare una soluzione”. Se non quella suggerita dai funzionari di Equitalia: “Dieci mila euro al mese per 36 anni, oppure, a stralcio il 25 percento delle cartelle in essere, più o meno 800 mila da versare immediatamente in contanti. Se non fosse una vergogna ci sarebbe da ridere”. Si arriva così al 4 luglio 2013 quando, in tribunale, pronunciano la sentenza per il secondo grado 2 grado: “Il procuratore generale di Pordenone aveva chiesto un inasprimento della pena a 18 mesi di reclusione, il mio avvocato la piena assoluzione. La Corte di Appello decide per la via della mediazione, confermando la pena già scontata”. Sulle sue spalle, però, ancora le cartelle esattoriali di un fatto giudicato per due volte come “mai accaduto” e una vita rovinata. “Mi hanno rovinato la vita in passato e Equitalia lo farà in futuro. Ci sono persone che si sono suicidate per molto meno.
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