«La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e di solidarietà, e soprattutto se incentrata sull’aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e in parte inefficace».
Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, che definisce questo precario momento economico, un ” corto circuito fra crescita e tasse ”. Secondo la Corte dei Conti, il governo tecnico, nel cercare di porre rimedio al debito pubblico, ha costretto la classe sociale a mettersi a dieta costringendola a sacrifici che non solo non hanno portato migliorie all’Erario, ma, ha portato a degli «effetti perversi di un corto circuito tra inasprimenti fiscali e crescita
economica. Ha impedito di conseguire gli obiettivi di entrata, nonostante gli aumenti discrezionali di imposte con cui il governo ha cercato di compensare la ciclicità del gettito fiscale». Niente di nuovo quindi, cose dette e ridette ad un governo sordo e indifferente. Secondo la magistratura contabile dal lato della spesa ‘«si rilevano maggiori uscite al netto degli interessi per oltre 2 miliardi». Grande preoccupazione per la svendita del patrimonio pubblico:
«particolare attenzione dovrà essere posta alla previsione di meccanismi incentivanti e sanzionatori per la gestione delle partecipazioni azionarie in società degli enti locali in crisi, per facilitare da un lato la gestione di eventuali esuberi occupazionali e dall’altro i processi di dismissione evitando che questi si traducano in svendite del patrimonio pubblico». «Nel 2013 si registrano minori entrate complessive per oltre 21 miliardi rispetto a quelle previste. Di questi poco più di 6,5 miliardi sono riconducibili al superamento dei previsti incrementi dell’Iva (almeno fino al giugno 2013), ma la flessione delle imposte dirette (-7,4 miliardi) e dei contributi sociali (-2,3) è da imputare a una caduta del Pil molto superiore al previsto». Interessante sarebbe conoscere, voce per voce, il bilancio dello Stato, oltre che conoscere, finalmente, il lavoro svolto dai ” ragionieri di Stato ”. Concordiamo con Squinzi di Confindustria: con questi presupposti, un rilancio dell’economia, una ripresa reale dei consumi, è impensabile.
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