Il dilagare della richiesta di sussidi di disoccupazione e mobilità, la cassa integrazione, non sarà tutta colpa dei sindacati? Cisl, Uil, Cigl, le loro basi sono nere di rabbia e con ragione.
Attualmente abbiamo lavoratori messi in cassa integrazione ma che continuano a lavorare nello stesso luogo: l’azienda paga lo stipendio al suo dipendente con i soldi di tutti gli italiani, aggiungendo la differenza. E per chi la cassa integrazione non l’ha? Si arrangino è il motto dei sindacalisti.
Le segreterie sindacaliste non si sono opposte allo sfacelo, anzi, banchettano con i carnefici dei lavoratori. Poco importa se preferiscono dare la colpa al carico fiscale che non ci rende competitivi, che alimenta la delocalizzazione, la verità è che oltre alle chiacchiere null’altro hanno fatto.
A metterli tutti in piazza non un lavoratore alzerebbe la mano in loro difesa.
Cosa fare? La base può e deve insorgere, facendo autogestione, rimettendo le tessere sindacali.
Il contratto nazionale del lavoro aspetta una riforma che mai arriverà se non la si pretenderà.
Non mancano le idee, ma resta più comodo spartirsi ciò che resta senza mettersi li a discutere con chi ci regala qualche privilegio, qualche euro.
Il punto è, abbiamo davvero bisogno di fare affari con la Fiat e le altre blasonate?
No, secondo noi no.
Il nostro intento è tornare a produrre con o senza di loro.
Aiutare le imprese e le fabbriche a nascere e crescere ritrovando le nostre eccellenze e con un nuovo contratto di lavoro nazionale che faccia da base a chiunque intenda venire in Italia a fare impresa e profitti sulla pelle dei nostri lavoratori.
Vogliamo la giusta indipendenza da chi ci impone giornate massacranti e con poco guadagno.
La stessa Confindustria sta tradendo la fiducia delle sue piccole imprese in favore di corporazioni che schiacciano il nostro diritto di essere indipendenti.
Quale è lo scopo? Metterci tutti dentro una grande corporazione e tenerci ai loro ordini?
Ogni categoria di lavoratore, statale, privato, precario o a tempo indeterminato deve avere un unico contratto di lavoro nazionale certificato dallo Stato con un minimo insindacabile pari a euro 1.200 mensili al netto delle tasse. Questo si rende possibile inserendo nel mercato del lavoro il concetto di costo minimo della manodopera esente tasse.
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